Cambiare… punto di vista (Musicameron 26)

Sono sempre più convinta che questo periodo sia un’ottima occasione per cambiare punto di vista e modo di fare le cose, magari anche più volte sullo stesso argomento, cambiare, sbagliare, provare, ricominciare, perché non c’è nulla di più instabile dell’equilibrio.

Un po’ quello che ha fatto Cézanne: se si guardano bene i suoi quadri si viene colti quasi da capogiro, qualcosa non quadra… perché in effetti, nello stesso quadro vengono usate diverse prospettive per vari oggetti. Straniante no?

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Forse ci disturba proprio perché non siamo abituati a farlo, a cambiare posto, a capovolgere la situazione, a metterci nei panni dell’altro, per esempio… questa è una cosa che con la didattica a distanza si è ingigantita: come spiegare in modo che sia chiaro? Quali sono gli strumenti a disposizione? Come posso rendere flessibile questo compito in modo che tutti possano eseguirlo? Soprattutto: cosa posso chiedere di fare che sia interessante, motivante e davvero utile per le ragazze e i ragazzi? Che li aiuti anche ad esprimere ciò che sentono, a dare un nome alle paure, a gestirle per quanto possibile?

Ecco, mai come ora bisogna tenere a mente queste cose. Come accade in quella scena memorabile de “L’Attimo fuggente”, quando il professor Keating all’improvviso balza sul tavolo

Cambiare prospettiva. Mi fa venire in mente la proposta di un allievo per la tesina di terza media: tema centrale “il razzismo”, la parte musicale presenta la colonna sonora di Green Book. Ecco, al di là degli adattamenti e delle semplificazioni che richiede il cinema, credo che questo film possa mostrare molto chiaramente cosa sia un “cambio di prospettiva”. I due protagonisti durante il viaggio che intraprendono insieme macinano molto più che semplici chilometri, imparando a conoscersi, apprezzarsi e comprendere qualcosa delle rispettive vite, per quanto diverse. Un film da vedere tutto d’un fiato.

GIORNO 26: Kris Bowers e Don Shirley – Lonesome Road

Una nota sulla colonna sonora: per quanto bella e coinvolgente non ha potuto essere candidata agli Academy Award perché ritenuta “non originale”, in quanto utilizza a piene mani registrazioni e musiche originali di Don Shirley… come viene raccontato in questo articolo. Peccato. Ma la bellezza dell’Arte è che se ne infischia dei premi e la possiamo apprezzare per quello che è il suo valore che nessun concorso riuscirà mai a definire con certezza.

Vita poesia e bellezza (Musicameron 17 e 18)

Il weekend è il momento più strano della settimana. Sei a casa ma ancora accendi il computer o comunque fai qualcosa per il lavoro, lezione, riunione o studio. Il silenzio fuori è più acuto che negli altri giorni, ma senti più voci di bambini che escono a giocare in giardino, oppure il vento ti porta il fumo di una grigliata di inizio primavera (tutto sommato è già tempo di cucinare e mangiar fuori, almeno per un poco).

Tutto continua, anche se tra le quattro mura di casa. Come prima oppure in modo del tutto diverso, c’è tanta voglia di normalità, di trovare un’abitudine, una routine, un modo per rendere questi giorni meno grigi, per dar loro sapore. La gente fa la pizza in casa il venerdì o il sabato sera. Fa le torte per la merenda o per la colazione, o i biscotti per il caffè della domenica. Una chiamata ai parenti, un caffè davanti al computer o al telefono in videochiamata. Un modo come un altro per cercare di pensare che tutto sommato è primavera, che è domenica, che la vita va avanti e andrà avanti nonostante tutto e nonostante le brutte notizie.

Il mio augurio è che riusciamo a trovarla sempre, questa bellezza, anche nei momenti più tristi e duri, anche nella penombra delle stanze al tramonto.

CASA MIA
Sorpresa
dopo tanto
d’un amore

Credevo di averlo sparpagliato
per il mondo

(Giuseppe Ungaretti)

GIORNO 17 : Ludovico Einaudi – Dietro casa

Stanca la gola – è stanca di gridare –
per la bimba sbandare in giravolte
– come un’ ape – la sua felicità
è cantare, perché non sa morire.

E sempre vola, benché bruna, i prati:
li imperla come polline legger.
Poi, se uno guarda, se le parla,
lei si arresta stupita e per stupire

riparte, si riaccende in nuovi fuochi.
Così come la guardo io è vicina
pure lei non sa, alta sui ricordi

lei vive nel presente: per cantare.
Guardarla ancora? So che ad ascoltarlo
il cuore torna pompa muscolare.

(Pierluigi Cappello)

E per sorridere un po’…

GIORNO 18 : Cinque Uomini sulla cassa del morto – Bon

Musicameron n.6

In questi giorni saltano tutti gli schemi. Le ore sembrano soltanto numeri che scorrono sotto alle lancette. Guardo il cielo per poter immaginare che il mondo continua come sempre anche oltre l’angolo della strada.  Insomma, mi trovo a seguire esitante i passi di una danza che non conosco e di cui non riesco a capire del tutto il ritmo.

Curioso no? All’improvviso abbiamo scoperto ritmi diversi, mai conosciuti prima nemmeno nelle giornate estive, o durante i temporali, o quando fa buio d’inverno.

Mi ricordo quando ho parlato di ritmi e metri a scuola: le facce perplesse degli alunni, gli occhi sgranati quando ho detto che di solito i macro (la pulsazione del tempo) sono sempre uguali gli uni agli altri, i micro (la divisione di ogni pulsazione) può essere binaria o ternaria… ma che sì esistono anche macro diversi tra loro e combinazioni irregolari di due e tre tempi! (per i musicisti, sto parlando di 5/8, 7/8, 3+3+2/8 e tempi del genere). Abbiamo anche provato a seguirli col movimento, con risultati stranianti e molto buffi. Eppure per certi popoli sono assolutamente normali. E non dobbiamo pensare per forza a indigeni di chissà che foresta remota, no… basta guardare alla Catalogna, alla sardana. Una danza tipica che tuttora possiamo veder ballare dalla gente all’uscita da Messa la domenica, le borse al centro del cerchio, donne e uomini che si tengono per mano e danzano sulla musica di alcuni strumenti a fiato. Ci ho provato anche io, quando sono stata a Barcellona in gita (con una classe di 4^ di istituto tecnico, di cui mio padre era accompagnatore… ma questa è un’altra storia). Divertentissimo, ma è un miracolo se non ho fatto cadere tutto il mio cerchio, a furia di sbagliare passi!

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Ecco, mi sento un po’ come in quegli esperimenti. Cerco di trovare il ritmo, lo schema, il trucco per andare a tempo, ma ancora non ci sono riuscita. Il mio brano di oggi però non è una sardana, ma una danza di origine africana rielaborata dal grandissimo musicista brasiliano Heitor Villa – Lobos. Un grande non solo come compositore. Ebbe – pensate! – la folle idea di fondere lo stile musicale di Bach con la musica tradizionale brasiliana, una meravigliosa fusione di linguaggi musicali indigeni, africani ed europei che ancora oggi affascina tutto il mondo. Non c’è lo spazio qui per descrivere tutto ciò che ha fatto nella sua vita avventurosa… ma credo che la musica possa ancora e sempre parlare per lui.

GIORNO 6 – Heitor Villa – Lobos – Kankukus (Danza indigena n°2 op. 57)

E voi? Come state affrontando queste giornate? Avete trovato il vostro ritmo?

Vi aspetto domani con la parola per la prossima settimana!

 

MUSICAMERON n. 1-2-3

Ci è voluta una pandemia per farmi tornare ad usare questo blog. Ma in ogni cosa puoi trovare un lato buono e magari è l’occasione giusta per ridare nuova vita a questo spazio.

Perciò eccomi qua: MUSICAMERON è il titolo del compito che ho assegnato alle mie quattro classi di educazione musicale della scuola secondaria di primo grado. Si tratta di una challenge musicale legata in qualche modo a quello che stiamo vivendo.

Passo indietro: questa storia della didattica online ci ha preso tutti alla sprovvista. Che fai? Cosa chiedi di fare? Quanto e come? Come fai ad avere un feedback? Così, a forza di rimuginare e cercare idee qua e là, ho visto un intervento di Enrico Galiano, che ha proposto ai suoi studenti la costruzione di un Decameron di classe con storie raccontate via audio e poi assemblate insieme. Fantastico! Ed ecco la genesi di #musicameron

Ogni settimana lancio un tema e giorno per giorno scelgo una canzone e motivo il perché della mia scelta, così alla fine della settimana ho una piccola playlist dedicata al tema della settimana. Devo scegliere brani di generi diversi e almeno tre musicisti diversi a settimana (perché il monocromo non ci piace, no!). Assemblando tutte le canzoni scelte da studenti e studentesse, questa playlist diventa MOLTO grande e – si spera! – godibile per tutti.

TEMA DELLA SETTIMANA: TENSIONE

GIORNO 1: Queen & David Bowie – Under pressure

L’ho scelta perché il testo mi ha ricordato la missione di questi giorni: l’amore e il rispetto per le altre persone ci impongono scelte diverse, per il bene di tutti. E poi, in effetti siamo un po’ “under pressure” (ma non “on streets”!)

Can we give ourselves one more chance?/ Cause love’s such an old fashioned word/ And love dares you to care/ for the people/ on the edge of the night/ And love dares to change/ our way of caring about ourselves

GIORNO 2: Nikolay Rimsky – Korsakov – Il volo del calabrone

Ieri ero davvero irrequieta, come una mosca che sbatte contro il vetro…

GIORNO 3: Claude Debussy – Menuet dalla Suite Bergamasque

Oggi è una bella giornata e la tentazione di prendere la bicicletta e fare un bel giro è forte… ma non si può uscire, perciò resto a casa a giocare con i gatti…

Ci vediamo domani con il brano del giorno!

 

 

Struggimento (J. D. Landis)

Dalla mia piccola biblioteca musicale, una perla letteraria, il bellissimo romanzo dell’americano J. D. Landis, Struggimento (Biblioteca Neri Pozza, 2001)

Uno “struggimento musicale”, che potremmo definire Sehnsucht, avvicinandoci ai protagonisti della vicenda. Ossia i grandi e sfortunati coniugi Schumann: Robert, il compositore sprofondato prematuramente nella follia, e Clara, la pianista prodigio, musa, amante, compagna, madre e nemesi del marito.

Una storia nata nella casa del severo Friedrich Wieck, padre padrone e maestro di Clara, che aveva accettato di prendere come allievo l’irrequieto e geniale Schumann – senza sospettare quello che sarebbe accaduto in seguito tra lui e la figlia, sposatisi contro il suo parere dopo una serrata battaglia legale, appena Clara ebbe raggiunta la maggiore età.

Ma, lasciando da parte la vicenda amorosa, nel libro c’è anche – abilmente camuffato dall’atmosfera romanzesca – un avvicente trattato di storia della musica, o, per meglio dire, del “costume musicale”.

Scena: la cucina di Wieck. Lui prende sulle ginocchia la piccola (d’età, non per la musica) Clara, per la prima lezione di pianoforte. Le fa appoggiare le manine sul tavolo, pronto a forzarle nella posizione corretta. Ma non è necessario. Come se non avessero mai fatto altro, l’assumono spontaneamente, senza una parola a indicare loro la strada, con somma sorpresa di Wieck.

Da quel momento, la vita di Clara cambia. Una lezione al giorno, scale, tecnica, canto, educazione dell’orecchio.  Soprattutto, educazione dell’orecchio.

Nei primi mesi, Clara non vede nemmeno una riga di musica, scritta o stampata. Suo padre la fa suonare ad orecchio, la addestra a riconoscere suoni, accordi, melodie, armonie, toni e modi, a “sentire” il pianoforte, cercando di trarne la sua musica, non di fare musica su di esso.

Lui la incoraggio da subito a improvvisare i suoi pezzi, e le insegnò a trascriverli, dando così un senso a quelle formiche nere che si affollavano sul doppio pentagramma. Poi, finalmente, la musica scritta, l’eredità del passato, la testimonianza del presente – e qui si pone il problema.

Siamo (1826) nell’epoca della rivoluzione, per il pianoforte. Beethoven morirà di lì a un anno, dopo aver stravolto sia l’arte della composizione sia lo strumento, ormai diventato definitivamente “pianoforte”.

Come insegnare, cosa insegnare, che stile, che idee, che brani?

Detto con le parole di Landis:

“Gli insegnanti di musica sono per loro natura conservatori, perché le regole della musica richiedono disciplina. Ma la musica è di per sé un’arte radicale, domanda ai suoi seguaci animo da rivoluzionari. Dunque, lui avrebbe dovuto essere tiranno e protettore insieme.”

C’è da dire che il rapporto con l’allievo Schumann sarà ben più conflittuale, prima ancora che l’affetto di quest’ultimo per Clara si sviluppi pienamente e sancisca la definitiva frattura tra i due. Wieck osteggiò il loro amore in ogni modo, convinto che la differenza di età, di bravura, di carattere tra loro fosse troppo evidente, e che questo avrebbe reso Clara infelice, impedendole di proseguire la sua carriera musicale.

La vita apparentemente darà ragione a Wieck, con Robert costretto ad abbandonare presto la carriera pianistica e a dedicarsi esclusivamente alla composizione, “geloso” – da uomo ottocentesco – della carriera della moglie, che avrebbe voluto vedere esclusivamente in veste di mater familias. Infine, il tempo lo vide scivolare inesorabilmente nella pazzia, fino al ricovero e alla morte nel manicomio di Endenich.  D’altro canto, i ben dieci figli della coppia (di cui otto nati ed uno morto in tenera età), sono soltanto un indizio del fortissimo, struggente amore che, nonostante tutto, unì i due coniugi Schumann.

L’altro, è la musica.

Robert Schumann Piano Concerto in A minor op. 54 – Allegro affettuoso

The Queen

Ricorrenza: 20° anniversario della morte di Freddie Mercury. E questo lo sappiamo.

Durante l’inverno della terza media (’97 – ’98), visitando quella che sarebbe poi diventata la mia scuola superiore, oltre ai vari depliant presi una copia di quel mitico giornalino autoprodotto che era il “Sabba” (scuola femminile, tremate-tremate-le-streghe-son-tornate, sapete com’è). Ebbene, tra i tanti articoletti, disegni, storielle, messaggi, trovai un lunghissimo e dettagliato resoconto su quella che era stata la storia dei Queen – e ovviamente del suo leader. Mi appassionai. Non sapevo ancora che era un presagio.

In realtà, avevo canticchiato le sue canzoni inconsapevolmente, ero appena in seconda elementare nel ’91 e in casa si ascoltava jazz, classica, pop di buon livello, rock non pervenuto. Ma evidentemente a me non bastava. E così pian piano cominciai ad esplorare suoni del tutto nuovi per me, pischellina di una  chitarrista classica. Praticamente imparai a memoria quell’articolo. Primo cd: Greatest hits #2, probabilmente regalo di compleanno. Secondo: Greatest hits #1, ricordo della gita di terza superiore a Monaco di Baviera. E poi, uno alla volta, tutti gli altri. Prima “piratati” su cassette, poi originali in cd.

Peccato arrivare sempre tardi, no? Sentire un feeling così forte con canzoni e gruppi sciolti da tempo, se non morti.

Ma per fortuna la musica, quella buona, non muore (diciamo che quella cattiva ci mette meno tempo a sparire). E anche qui è paradossale, se ci pensiamo. Tra le varie arti, la musica è quella pià volatile, più legata al “qui e ora”, suona la stessa melodia due volte di fila e in ogni caso sarà impossibile ripeterla esattamente allo stesso modo. Eppure, la musica è ancora lì, dopo venti, trenta, quaranta, cento, duecento, cinquecento anni.

Nel nostro caso, venti (all’epoca dieci), bastano e avanzano. Ai Queen collego uno dei periodi più travagliati e meravigliosi della mia vita. Che non sono in cinque anni delle superiori in senso stretto, ma i cinque anni passati nel coro della scuola. Dove avevo trovato altri pazzoidi che condividevano le stesse passioni: musica, musica, musica e… le pastasciutte degli alpini nei post concerti (condite da buoni canti friulani).

Ma uno di questi postconcerti non contemplò solo canti da montagna. Germania, 2001. Concerto finale dell’epico gemellaggio con il coro scolastico di Bielefeld. Epico. Energia pura. Una di quelle serate perfette che capitano poche volte nella vita.

E un pianoforte a coda, vecchiotto e altero nell’angolo della grande sala dove si mangiava.

Una calamita, altrimenti detto. E lì, per mezza serata, mentre altri ballavano nella discoteca improvvisata nella sala accanto, via di tutti i canti possibili e immaginabili, più o meno into-stonati, più o meno allegri, più o meno storpiati. Finché il nostro §PianistaFragilino non attacca un certo arpeggio che fa zittire tutti.

“I paid my dues… time after time…”

E pian piano, tutta la sala che va dietro a quella voce solitaria.

Embè, che vi devo dire? Ho i brividi ancora oggi, se penso a quella sera. E a tutte le altre, passate con quelle persone. Ai concerti in cui, forti della lirica presenza di §Arietta e §Bisticcio, eseguimmo con altri due-tre cori, la mitica “Barcelona”. E alla dedica che la prof di coro mi fece alla prima esecuzione (catastrofica, peraltro, ma tuttavia carica di buone intenzioni) di “Bohemian Rhapsody”, un paio di anni dopo, quando ormai ero in quinta, prossima a lasciare tutto, per forza di cose.

Gran parte dell’energia si era ormai persa. Persone se n’erano andate, alcune in lacrime e controvoglia, altre sbattendo altezzosamente la porta, e le cose lo ammetto, non erano più le stesse. I giri della vita. Ma non ci piango sopra, da quel momento di cose belle ne sono successe, tante, e crescere e andare avanti in fin dei conti non è così male… 😉

Ma, anche se quei giorni non ci sono più, qualcosa resta ancora…

I still love you