Il coraggio di immaginare (Musicameron n.9)

Caffè in giardino, perché con la giornata di oggi no si poteva proprio fare a meno di mettere il naso fuori in qualche modo. Intorno a me un rumore costante di api, come una fabbrica in miniatura che continua incessante la sua produzione, mi sembrava di essere caduta in una poesia di Emily Dickinson

Le sognanti Farfalle si scuotono!
Stagni in letargo riprendono il fruscio
Dell’interrotta melodia dell’anno prima!
Da qualche vecchia Fortezza sul Sole
Blasonate Api – marciano – una ad una –
In mormorante plotone!

A proposito di reclusione… lei è uno degli esempi di come l’immaginazione possa supplire ad una vita da reclusa. Nata nel 1830 in Massachusetts (USA) in una famiglia di tradizione puritana, visse infatti molto appartata e con poche amicizie, un po’ per lo stile di vita della famiglia, un po’ per scelta e per la sua salute cagionevole – fino a decidere di vivere completamente isolata dal mondo nella sua stanza, decisione presa ad appena 25 anni. Eppure, nelle quattro mura di quella stanza Emily vedeva e sentiva tanto, immaginava, creava, si librava oltre gli schemi e scriveva poesie meravigliose, ermetiche, modernissime.

Forse a volte dobbiamo fare lo stesso. Chiudere gli occhi per vedere meglio (quanto è trita questa frase!), trattenere il fiato per tornare a respirare, fermarci per prendere la rincorsa, piangere per poi sorridere.

GIORNO n. 9 – Claude Debussy La fille aux cheveux de lin

Piccola nota al video: in questa registrazione è Debussy stesso a suonare la sua opera. Pare che i pianoforti Pleyel che usava normalmente avessero una morbidezza nelle meccaniche tale da permettergli di ottenere effetti sonori che i pianoforti di oggi non riescono più a realizzare, a causa dei cambiamenti tecnologici nella loro costruzione.

Musicameron n.4

Oggi sono uscita di casa (dovevo spedire dei documenti, per fortuna tabacchino per il bollo e posta non sono troppo lontani da casa e quindi ho potuto fare due passi e sgranchirmi le gambe). Senza chiedere a nessuno, la primavera sta davvero arrivando. Alberi avvolti da nuvole rosa, narcisi e giacinti iniziano a fiorire, ora spuntano i boccioli dei miei tulipani, margherite, viole e primule ovunque… mi sento un po’ come Mary ne “Il giardino segreto” (a proposito, un suggerimento di lettura. Anche in inglese, perché no, è abbastanza semplice). Mary la scontrosa, l’antipatica, l’arrogante, che però ritrova serenità e uno scopo nel giardino abbandonato…

Nota positiva: facendo la coda per la posta (a rigorosa distanza di sicurezza) abbiamo fatto due chiacchiere con gli altri clienti in attesa. Una mamma con bambina al seguito, un signore umbro qui per lavoro, una mamma con neonata in carrozzina, due anziani del paese. In un giorno qualunque avremmo fatto ognuno la sua coda in silenzio, magari seduti uno a fianco dell’altro. Adesso invece ogni occasione è buona per fare un sorriso e interromperlo, questo silenzio che ci sovrasta e ci impaurisce.

Non so quando e come andrà a finire tutta questa storia, quando e come ne usciremo. Però non perdiamo la speranza. Restiamo umani, Facciamo un sorriso, se non possiamo stringere la mano né avvicinarci. Sarà come un raggio di sole: magari velato da qualche nuvola passeggera, ma pur sempre un raggio di sole.

GIORNO 4: Noa – I don’t know

Poesie della domenica

IL TUO SORRISO

Toglimi il pane, se vuoi,
toglimi l’ aria, ma
non togliermi il tuo sorriso.
Non togliermi la rosa,
la lancia che sgrani,
l’ acqua che d’ improvviso
scoppia nella tua gioia,
la repentina onda
d’ argento che ti nasce.
Dura è la mia lotta e torno
con gli occhi stanchi,
a volte, d’ aver visto
la terra che non cambia,
ma entrando il tuo sorriso
sale al cielo cercandomi
ed apre per me tutte
le porte della vita.
Amor mio, nell’ ora
più oscura sgrana
il tuo sorriso, e se d’ improvviso
vedi che il mio sangue macchia
le pietre della strada,
ridi, perchè il tuo riso
sarà per le mie mani
come una spada fresca.
Vicino al mare, d’ autunno,
il tuo riso deve innalzare
la sua cascata di spuma,
e in primavera, amore,
voglio il tuo riso come
il fiore che attendevo,
il fiore azzurro, la rosa
della mia patria sonora.
Riditela della notte,
del giorno, delle strade
contorte dell’ isola,
riditela di questo rozzo
ragazzo che ti ama,
ma quando apro gli occhi
e quando li richiudo,
quando i miei passi vanno,
quando tornano i miei passi,
negami il pane, l’ aria,
la luce, la primavera,
ma il tuo sorriso mai,
perchè io ne morrei.

(Pablo Neruda)

VORREI ABBANDONARE (1846)

Vorrei abbandonare questo mondo.
Tra i suoi splendori scorgo
tante macchie oscure.
Vorrei andare in una selva selvaggia
dove non fosse nessuno, nessuno.
Ascolterei lo stormir delle fronde,
il fruscio dei rii
ed il canto degli uccelli.
Guarderei l’errante schiera delle nubi.
Guarderei il sorgere e il calar del sole,
sin che alla fine
tramonterei anch’io.

(Sándor Petőfi, da “Nuvole”, 1846)

CANTO (ANCHE SE SONO STONATO)

Perché non ho la voce
di Dorelli e di Arigliano
neanche di Sinatra,
di Cigliano, Celentano,
eppure tanta voglia
di cantare a perdifiato
da quando di te
sono tanto innamorato.

Canto anche se sono stonato
perché sono letteralmente
impazzito per te
Senti, canto così sottovoce perché
perché la mia voce
in genere non piace

Da cinque mesi
canta il suo amore
in sordina perché
forse teme di farsi
sentire da me

Si ma da quest’oggi
ho deciso di cambiare
provando a cantare
con voce da rock
mi faccio sei uova alla coque
e come una belva del ring
ti sforno quintali di swing
sperando di darmi lo show
che forse proprio così,

Mina: Lelio mi dirai di si.

Da cinque mesi
canta il suo amore in sordina
perché forse teme
di farsi sentire da me

Si ma da quest’oggi
ho deciso di cambiare
provando a urlare
con voce da rock
mi faccio sei uova alla coque
e come una belva del ring
ti suono quintali di swing
sperando di darmi lo show
che forse proprio così,

Mina: Lelio mi dirai di si.

E forse proprio così,
mi dirai di si.

(Leo Chiosso – Lelio Luttazzi)

Elogio della smemoratezza

Non conservo mai i calendari usati. Anche se hanno quasi tutti delle bellissime immagini.
Né rileggo mai i miei diari. Continuo a scriverli, quando capita. Ma sono messaggi in bottiglia che chissà, magari leggeranno i miei figli, o i miei nipoti. E forse rideranno dei discorsi di questa loro strana, vecchia parente.
Non ho nemmeno trasferito l’intero blog da splinder. Certi post avevano senso nel momento in cui sono stati scritti, per le persone che all’epoca condividevano la mia vita. Ma dato che in gran parte si sono disperse, in amicizia o in discordia, le parole scritte per loro è meglio che rimangano nel tempo che le ha viste nascere.

Tra poco Facebook ci obbligherà ad utilizzare la Timeline, praticamente il diario online di tutte – ripeto TUTTE – le nostre attività passate, almeno dal momento dell’iscrizione.
Più vanno avanti, più questi cambiamenti mi fanno paura.
Perché siamo così ossessionati dal registrare tutto quello che facciamo, diciamo, scriviamo o pensiamo? Anche gli errori. Anche la sofferenza. Anche le cattiverie, fatte o subite. Direte: ma dagli errori si impara, o lo si dovrebbe fare. Sicuro. Quindi certe cose è giusto ricordarle, nonostante siano ricordi dolorosi.

Però la nostra capacità di sopportazione non è infinita. La mente seleziona i ricordi, da sempre. La famosa memoria di breve, medio e lungo termine.
Ossia, quello che è davvero importante la mente lo scolpisce nella pietra, mentre ciò che non reputa utile è scritto, come dice la canzone, sulla sabbia.

“Come dico sempre: i cattivi momenti scoloriscono, e i buoni momenti restano sempre vivi nella memoria” (Mrs. Doubtfire)

 

 

La natura non fa le cose per caso o per sport.
Se ricordare tutto fosse utile alla nostra sopravvivenza la selezione naturale avrebbe provveduto in questo senso.
Invece, ci ha forniti del formidabile strumento dell’oblio.

Dimentichiamo persone sgradevoli o insignificanti, frasi dette per tanto dire, battute malriuscite, tempo sprecato, canzoni brutte, lacrime inutili, gaffes, imbarazzi e lacrime, dolore e sofferenza oppure cose di cui ci vergogniamo.
A volte le immagino come una lunga, possente catena, ogni ricordo un anello. Ce la forgiamo da soli, con forza e convinzione. E lei si allunga, si irrobustisce, ci avvolge e ci stringe fino a soffocarci, a volte, nelle sue spire di tristezza.

Però capita che… clac! Un colpo di tenaglia, e quel ricordo sparisce. E usare quella tenaglia significa dimenticare.

Sì, ci sono anche tante bellissime cose che nostro malgrado scordiamo, magari perché ci abituiamo ad una routine, ad un cielo nuvoloso che ci fa scordare l’immensità che c’è al di sopra, come a volte ci capita d’inverno… guardiamo dalla finestra pieni di brividi mentre il nostro corpo lentamente si scorda di com’è sentire il sole bruciare sulle spalle.
Ma le cose davvero importanti restano a dispetto di tutto, anche le esperienze amare, che tuttavia ci hanno resi le persone che siamo e che per questo è giusto ricordare. Sono la nostra forza.

Ma vi prego, lasciateci dimenticare la paccottiglia.

Per volare davvero, si deve viaggiare leggeri.