La gabbia d’oro – Shirin Ebadi

Reduce dall’ultimo raid alla libreria di fiducia, mi sono ritrovata a divorare questo volumetto preso – lo confesso – più attratta dal nome dell’autrice che dal titolo. Anzi, a dirla tutta questo è abbastanza fuorviante, agli occhi di un lettore un po’ disattento. Ai nostri occhi di occidentali, il primo possibile argomento che viene in mente leggendo un titolo del genere e pensando al Medio Oriente è la condizione femminile. Questione trita, pur nella sua drammaticità, tanto che stavo per lasciarlo dov’era, ma ero curiosa di leggere qualcosa di Shirin Ebadi, di cui conoscevo il nome in quanto insignita del Premio Nobel per la Pace nel 2003. Questo, e il fatto che il libro raccontasse dell’Iran, paese che sogno prima o poi di visitare, mi ha spronata quindi ad acquistare e iniziare il libro… che non ho mollato fino all’ultima pagina.

Ci sono molti tipi di gabbie d’oro. E la maggior parte delle volte ce le costruiamo noi stessi. Ci poniamo domande e troviamo delle risposte, ricaviamo dal mondo una nostra personale Weltanschauung… o per meglio dire: ci costruiamo delle risposte, delle favole, delle storie che possano in qualche modo dare senso ad una realtà che spesso è più grande di noi, nella qualche cerchiamo di trovare disperatamente un senso, a dispetto a volte dell’evidenza.

Ed è quello che succede ai protagonisti di questa storia. Una famiglia iraniana come tante, probabilmente. Padre e madre, quattro figli. Un inizio promettente, felice, normale: Papà Hossein, allegro e gioviale, mamma Simin, affettuosa, vivace, cuoca sopraffina. Una casa “aperta agli amici e al sole” (come si direbbe qua in Friuli) e popolata da quattro bambini: Abbas, Javad, Alì e l’unica femmina, Parì, ago della bilancia tra caratteri diversissimi, grande amica di una bambina sveglia e seriosa: Shirin. E le due vicende – dell’autrice e della famiglia amica – si intrecciano strettamente, e dolorosamente, sullo sfondo dei grandi stravolgimenti che portarono, negli anni Settanta, alla caduta dello Shah e all’instaurazione della Repubblica Islamica dell’Iran. Anni di crisi, insomma.

Se è vero che etimologicamente “crisi” discende da una parola greca che significa “separazione” ma anche “decisione”, ebbene, in quel tempo il popolo persiano decide di cambiare la propria Storia. A posteriori, probabilmente non è stata la scelta migliore che potessero fare. Ci si può chiedere tuttavia se era in effetti possibile una scelta differente. Ad ogni modo, il destino di milioni di persone è cambiato. E di fronte alle crisi, ognuno reagisce come può. A volte, chiudendosi in una “gabbia d’oro”, che, pur dando un senso e una direzione ad una vita, ne impedisce d’altro canto il pieno sviluppo… fino ad esiti drammatici, impensabili in momenti di pace.

Pur scarno, il libro è un capolavoro di equilibro, appassionante senza scadere nel sensazionalismo, intenso ma distaccato, scritto con una sobrietà che fa intravedere, come attraverso un velo sottile ma opaco, tutto il dolore di aver dovuto vivere sulla propria pelle vicende del genere, così assurde da sembrare irreali, eppure concrete e pulsanti come ferite.

Da leggere.

Shirin Ebadi, La gabbia d’oro, Rizzoli, 2008, pp. 250

La condizione delle donne nei Paesi dell’allargamento: l’altra metà del cielo allo specchio

La condizione delle donne nei Paesi dell’allargamento: l’altra metà del cielo allo specchio

venerdì 27 aprile 2007 14.01

Ripubblico qui una breve ricerca che ho fatto nelle ore di tirocinio quando ero all’università… sperando possa essere utile a qualcuno!

1 – Introduzione

Il 1° maggio 2004 si è “festeggiato” l’ingresso a pieno titolo nell’UE di 9 Paesi dell’Europa Orientale; le virgolette, ahinoi, sono d’obbligo, perché, contrariamente a quanto auspicato dal mondo politico, questa data per molti ha assunto tinte fosche, o perlomeno ha destato molte perplessità a livello popolare (hanno economie deboli che assorbiranno risorse, ci saranno ingressi massicci di clandestini, e così via).

Questa diffidenza ha varie cause, la più importante delle quali è sicuramente di origine storica: la “forma mentis” dell’epoca della “cortina di ferro”, infatti, non è ancora scomparsa, sebbene oggi con una semplice carta di identità si possa arrivare dall’Oceano Atlantico al Lago dei Ciudi, al confine tra Estonia e Russia. Come ai tempi dell’Impero Asburgico, nella mente dell’europeo “occidentale” l’Asia inizia già al confine con l’Austria e, oltre la linea immaginaria che congiunge la foce dell’Oder alla linea delle Prealpi Giulie, gli scenari sociali, politici, economici e culturali per noi hanno un sapore già marcatamente “orientale”.

Al di là dei luoghi comuni, bisogna tuttavia ammettere che in ogni campo della vita civile vi sono differenze più o meno marcate tra i Paesi dell’Europa occidentale e orientale. Ciò però non significa che questi ultimi siano sempre in una posizione svantaggiata rispetto ai primi, tutt’altro: ad esempio, nel campo accademico la gestione socialista è stata, se non lungimirante, perlomeno positiva, permettendo il raggiungimento di livelli di scolarizzazione molto alti (in Ungheria si parla addirittura del 99%) e la formazione di centri d’eccellenza che molti Paesi europei farebbero bene ad invidiare.

Nel campo delle pari opportunità, invece, il panorama è caratterizzato da luci e ombre: vero è, tuttavia, che l’applicazione del principio egalitario socialista ha fatto compiere un salto notevole a quei Paesi nei quali le donne non avevano tradizionalmente molte possibilità di carriera e di partecipazione alla vita politica. Vi erano leggi che sancivano la parità giuridica dei sessi (con qualche eccezione per quanto riguarda lavori pericolosi particolarmente pesanti, riservati agli uomini), ma esse non venivano applicate sempre con rigore, poiché, come accade nella gran parte del mondo, vi erano palesi contrasti tra i principi enunciati e la mentalità imperante, che rimaneva ancora prevalentemente maschilista. La transizione democratica degli anni ’90 ha messo ancor più in evidenza queste contraddizioni: con il venir meno della “morale socialista” e delle regole di vita che proponeva, la Weltanschauung tradizionale ha nuovamente preso vigore, facendo talvolta registrare un regresso dal punto di vista dell’emancipazione femminile.

Il processo d’integrazione europea ha risvegliato l’interesse per questa particolare problematica, poiché la garanzia dell’uguaglianza e la lotta alle discriminazioni sono due requisiti fondamentali che i Paesi devono soddisfare, per poter avviare i negoziati d’adesione all’UE.

Vediamo ora come si è sviluppato il cammino legislativo volto al raggiungimento di questi obiettivi.

2 – Norme comunitarie sulle pari opportunità

Gli sforzi legislativi per raggiungere un’effettiva parità fra i sessi in Europa hanno inizio in Europa alla fine della prima guerra mondiale (Trattato di Versailles, 1921); tuttavia, poco o nulla venne fatto per applicare concretamente i principi enunciati a quell’epoca – al di là dello sfruttamento della forza lavoro femminile durante il periodo bellico, ma ben difficilmente può essere definita “emancipazione”. Ad ogni modo, è proprio nel periodo tra le due guerre che in alcuni Stati il diritto di voto viene esteso anche alla popolazione femminile (in Danimarca, Austria, Estonia, Polonia, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Svezia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Lituania, Irlanda, Regno Unito e Spagna; in altri Paesi questa concessione diventerà definitiva solo dopo il ’45, mentre in Finlandia il suffragio universale diventa realtà già nel 1906!).

Bisogna però attendere il secondo dopoguerra, e più precisamente il 1957, perché il problema della parità retributiva tra uomo e donna compaia nuovamente in un trattato internazionale: l’articolo 119 del Trattato di Roma, con il quale nasce il Mercato Comune Europeo, impegna infatti gli Stati membri ad intraprendere azioni legislative efficaci mirate a raggiungere quest’ambizioso obiettivo.

Interventi più concreti si hanno negli anni Settanta, con l’approvazione di un Programma di azione sociale (21 gennaio 1974) che, tra i suoi obiettivi, ha la piena occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro e il maggior coinvolgimento dei cittadini nelle istituzioni europee. Vengono inoltre emesse tre direttive mirate all’avvicinamento delle legislazioni in materia di parità retributiva (dir. 75/117/CEE), parità di accesso alla formazione e al mondo del lavoro (dir. 76/207/CEE) e di sicurezza sociale (dir. 79/7/CEE).

A questo punto viene sviluppata anche una politica comunicativa più efficace e capillare per far conoscere alle donne il processo di costruzione europea, le iniziative comunitarie a loro rivolte e per stimolarle ad adoperarsi attivamente per il riconoscimento dei loro diritti.

Nel 1982 la Commissione europea approva il primo Piano d’azione sulle pari opportunità (che sarà seguito da altri 4 entro il 2000); sempre negli anni Ottanta vengono emesse direttive mirate a tutelare il lavoro femminile, la sicurezza sociale, la parità di trattamento economico. Accanto alle iniziative legislative nascono poi le RETI, ovvero dei gruppi di lavoro che si dedicano allo studio di problematiche specifiche riguardanti le pari opportunità – Donne nell’occupazione, Diversificazione delle scelte professionali, Azione positiva nel settore privato, Gruppo di lavoro sull’alta funzione pubblica, Comitato direttivo per la parità delle opportunità alla radio e alla televisione, la rete IRIS sulla formazione professionale.

Alla fine degli anni Ottanta, con la caduta del Muro di Berlino, l’Europa ricomincia a “guardare ad est”, ovvero a prendere in considerazione l’ipotesi di accogliere al suo interno le ex – Repubbliche popolari (una di esse, la Germania orientale, viene inglobata di fatto già nel 1989). I problemi da risolvere sono tuttavia parecchi: oltre al risanamento dell’economia e alla transizione democratica, ai paesi candidati si chiede anche una maggiore tutela delle minoranze e il rispetto rigoroso dei diritti umani e politici, inclusi quelli delle donne.

Tuttavia, non sempre le dichiarazioni d’intenti sono state messe in pratica, e le contraddizioni che caratterizzavano la condizione femminile in questi paesi sono ancora diffuse ed evidenti.

3 – La legislazione per le pari opportunità nei Paesi dell’Europa Orientale

Nelle Costituzioni di quasi tutti gli Stati entrati nell’UE con 1° maggio 2004 è detto esplicitamente che uomo e donna hanno pari diritti e devono avere pari opportunità, soprattutto in campo lavorativo. Tuttavia, sebbene formalmente questi Paesi abbiano recepito perlomeno le disposizioni base dell’UE in materia, la realtà quotidiana è ancora piuttosto difficile per le donne, che spesso non hanno gli strumenti o le conoscenze per far valere i loro diritti in caso di discriminazioni.

In alcuni Stati vi sono delle limitazioni per quanto riguarda l’accesso a mestieri potenzialmente pericolosi perla salute e la funzione procreativa delle donne (Bulgaria, Ungheria), oppure mancano tribunali del lavoro o sindacati abbastanza forti da intraprendere azioni efficaci per la tutela delle lavoratrici.; ancora, l’obbligo di non discriminare né favorire i lavoratori tenendo conto di un criterio qualsiasi, sesso incluso, a volte costituisce un ulteriore ostacolo per le donne in cerca di occupazione (Estonia), che in ogni caso si ritrovano con stipendi mediamente inferiori del 20% rispetto a quelli degli uomini (anche perché la maggioranza delle donne è impiegata in settori poco qualificati o meno remunerativi). Inoltre, in molti Stati non sono presenti ONG femminili o movimenti per l’emancipazione femminile (Romania): questo impedisce lo sviluppo di una coscienza di genere e della consapevolezza dei propri diritti, oltre a sottrarre una possibilità di tutela e assistenza concreta. Problematica è anche la situazione delle norme sulla violenza, soprattutto domestica, che non è ancora adeguatamente perseguita, sebbene si stiano compiendo sforzi per allineare la legislazione a quella dell’UE.

Vi sono tuttavia casi in cui alla revisione delle norme sulle pari opportunità è effettivamente corrisposto un miglioramento delle condizioni di vita delle donne: è il caso di Cipro, forse lo Stato più all’avanguardia tra i nuovi membri dell’UE, oppure della Repubblica Ceca, dove il numero delle imprenditrici sta crescendo sensibilmente.

4 – La condizione femminile nei Paesi dell’Europa Orientale

Come accadeva per gli uomini, durante la Repubblica popolare anche per le donne era obbligatorio trovare un’occupazione; tuttavia, dato che i lavori domestici e la cura della famiglia erano rimasti di competenza quasi esclusivamente femminile, erano state approvate norme apposite che aiutavano le donne a conciliare il loro duplice ruolo lavorativo e privato.

Queste stesse leggi, tuttavia, relegavano gran parte della popolazione femminile attiva a lavori poco qualificati e mal pagati; nella politica, grazie ad un sistema di quote, la presenza delle donne era sì garantita a livello locale, ma diminuiva fino a scomparire man mano che ci si avvicinava alle cariche più elevate. Migliore era la situazione in ambito accademico, dove la presenza femminile (pure se con la stessa struttura “a piramide” della politica) era più forte, e, d’altro canto, in nazioni come l’Ungheria il numero delle laureate supera ancora oggi quello dei laureati uomini.

Tutto questo è all’origine di una percezione distorta del concetto di “emancipazione”, che nel periodo socialista fu ridotto al semplice ambito lavorativo – ”fai lo stesso lavoro di un uomo, è il massimo che puoi ottenere dalla vita”. Non ci si può dunque stupire del fatto che, al momento della transizione, mentalità di tipo patriarcale abbiano ripreso vigore, spesso incoraggiate dalle stesse donne, che vedevano come un lusso il poter essere semplicemente “casalinghe”, come le occidentali.

Tuttavia, ben presto è divenuto evidente quanto questo “revival” sia controproducente per la carriera femminile; inoltre, la scomparsa o l’attenuazione degli strumenti di tutela dello stato sociale ha messo in crisi le famiglie, aggravando le situazioni di disagio economico presenti soprattutto nelle campagne e nelle periferie.

La transizione verso l’economia di mercato è stata travagliata per tutti, con i riflessi negativi che ha avuto sull’occupazione totale; stranamente, però, nell’ultimo decennio in alcuni Stati (Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia) l’occupazione femminile non ha seguito il brusco calo di quella maschile, poiché la gran parte dei licenziamenti è avvenuta in settori dove la presenza delle donne era irrilevante (ad esempio nell’industria pesante). D’altro canto, i settori nei quali dall’89 è maggiormente aumentata la percentuale di lavoratrici sono anche quelli il cui prestigio è diminuito maggiormente negli ultimi 20 anni.

Oggi, in linea con la tendenza dei paesi occidentali, la presenza femminile è prevalente nel settore terziario – pubblica amministrazione, scuola, sanità – con punte del 73% (Lettonia); ancora alta rimane la partecipazione al settore agricolo (soprattutto in Romania e Polonia), cosa che pone non pochi interrogativi, in vista di una futura evoluzione tecnologica e organizzativa che farà diminuire drasticamente il fabbisogno di manodopera poco qualificata. Per quanto riguarda il campo accademico, il numero delle scienziate è sì in aumento, ma il taglio dei fondi alla ricerca mette in seria difficoltà gli istituti, che sono dunque costretti a ridurre organici e stipendi; sovente è l’abbandono degli scienziati uomini ad aprire le porte della ricerca alle donne, sicché l’aumento della presenza femminile non è dovuto tanto alla diffusione di nuove mentalità, quanto al declino del prestigio della ricerca. Inoltre, per quelle scienziate che desiderano formare una famiglia il cammino è ancora più arduo, e dunque, vista la mancanza di adeguati strumenti di tutela, non di rado le scienziate sono costrette a scegliere tra carriera e famiglia, con le conseguenze che si possono immaginare.

Un altro problema pressante è quello della riqualificazione professionale delle quaranta – cinquantenni: mentre le più giovani conseguono titoli di studio e qualifiche aggiornate (che le indirizzano verso lavori più remunerativi e prestigiosi), per chi ha perso il lavoro negli anni Ottanta ed alla ricerca di una nuova occupazione non vi sono prospettive rosee, dato che spesso mancano anche le possibilità di aggiornamento professionale.

Tristemente nota è anche la piaga della “tratta”, che coinvolge migliaia di donne dell’Europa orientale, attratte con l’inganno in occidente dal miraggio di un lavoro remunerativo e avviate alla prostituzione dalle organizzazioni criminali locali e da alcuni connazionali affiliati. Azioni concrete per combattere questo obbrobrio sono state perciò inserite tra i requisiti fondamentali da soddisfare per i nuovi Stati che desiderano far parte dell’ Unione Europea.

Non bisogna dimenticare a questo proposito la grave situazione delle donne Rom, non solo in Europa orientale: se la pratica ignobile della sterilizzazione forzata è oggi meno diffusa di un tempo, le donne Rom oggi hanno scarsissime possibilità di reagire alle violenze, alle discriminazioni e alle costrizioni (matrimoni combinati in giovane età, accattonaggio, prostituzione), poiché sono vittime sia della mentalità tradizionalmente maschilista della loro comunità, sia della diffidenza delle altre donne e delle autorità costituite.

In conclusione, possiamo affermare che in questi Paesi la condizione femminile sta pian piano migliorando, nonostante le difficoltà siano ancora molte e difficili da superare.

Ci vorrà ancora del tempo, perché le politiche e le normative delle ex – Repubbliche popolari riguardo alle pari opportunità si conformino allo standard europeo, sebbene in alcuni campi si siano compiuti progressi notevoli. Il pieno raggiungimento di questi obiettivi è però subordinato al consolidamento della percezione “positiva” dell’Unione Europea, realtà che deve essere considerata come opportunità di sviluppo, e non come ostacolo. Anche in questo senso, il cammino da compiere è ancora lungo.

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Bibliografia:

Dinucci Manlio, Il sistema globale seconda edizione – Geografia del sistema globale, Zanichelli Editore, 2006 http://www.zanichelli.it/materiali/dinucci

Di Sarcina Federica, Donne e cittadinanza in Europa. Politiche di coesione, d’integrazione, di parità, Centro di ricerca sull’integrazione europea – Università di Siena, 6 dicembre 2006, http://www.bluestone.it/donnepoliticaistituzioni/materiale.asp

Gruppo di lavoro del Segretariato generale – Task force “Ampliamento”, Nota tematica n° 26 – I diritti delle donne e l’ampliamento dell’Unione Europea, Parlamento Europeo, Lussemburgo, 14 luglio 1998

Philippe Busquin, Spreco di talenti: la situazione delle scienziate nei paesi dell’Europa orientale, Bruxelles, 30 gennaio 2004, http://europa.eu.int/comm/research/science-society/highlights_en.html

Raspini Matilde, Società: l’occupazione femminile nei Paesi dell’allargamento, http://www.ciss.it/societa/lavorodonne.htm

The Helsinki Group, Women as a science policy focus – National reports from the countries associated to the 5th Framework Programme, novembre 2000 http://ec.europa.eu/research/science-society/page_en.cfm?id=2906