Fuoco fuoco fuoco…

Oggi ci sono troppe cose da scrivere. O forse in realtà nessuna, perché più sono intense le esperienze più è difficile condensarle in parole e metterle giù in maniera sensata.

Oggi si è concluso un percorso iniziato mesi fa con una telefonata, che mi offriva la responsabilità di un progetto di educazione musicale: tutte le classi di una scuola primaria per un certo monte ore più gruppi di chitarre in orario pomeridiano. Un corso ben strutturato, ragionato, presso la scuola primaria del Convitto Nazionale Paolo Diacono di Cividale del Friuli.

Fin dal primo minuto capisco che in questa scuola l’aria è particolare. Frequentandola per diversi mesi ho capito poi perché; tra le altre cose, il motto “in questa scuola si sorride e si saluta”, coniato dalla Rettrice, non è un semplice slogan ma uno stile educativo che da effettivamente la differenza. Sentirsi accolti fin dall’inizio, con una disponibilità e flessibilità quasi inverosimili (o forse dovrebbe essere sempre così, le porte chiuse dovrebbero essere l’eccezione invece della regola) insomma sentire che c’è fiducia nei tuoi confronti ti porta a lavorare bene, senza paura, a sperimentare, sapendo che c’è chi ti sostiene e accetta le novità che porti. E ce ne sono state tante: spostare ogni volta tutti i banchi, sedersi in cerchio, magari per terra, guardarsi in faccia anche con i compagni che stanno di solito alle spalle, mettere in gioco corpo e voce e lasciare spesso fuori le parole per concentrarsi sulla musica, sul suono, sui “pam pam”… per chi non è abituato può essere uno shock. Eppure piano piano i meccanismi cominciano a funzionare, e si oliano sempre più.

Ma cosa faremo mai per la fine dell’anno, per l’evento a tema “Fuoco” che tutto il Convitto aspetta e che negli anni passati era stato gestito nientemeno che dai professori del Conservatorio di Udine? Il dilemma si risolve in una sera di dicembre: mentre tutti si apprestano a partire per le ferie di Natale, le maestre si incontrano a riunione con i componenti scarmigliati di una band piratesca… i Cinque Uomini sulla Cassa del Morto. Idea audace: scrivere e musicare insieme ai bambini e a maestra Elisabetta i testi per lo spettacolo finale. Per quanto complessa possa apparire la proposta, siamo subito tutti d’accordo: si fa. E che Dio ce la mandi buona. E così, nei mesi successivi, chitarre e cembalino, cajon, violino e ukulele colonizzano le aule e i corridoi della scuola, mentre parole e musica lentamente prendono forma, alcune volte accendendosi come fusette a Capodanno, altre con paziente lavoro di cesello, fino quasi all’ultima prova. Intanto i bambini dei corsi di violino e chitarra muovono le dita sempre più velocemente e le coreografie e le presentazioni iniziano ad emergere dal caos primordiale con sembianze sempre più definite.

Come spiegare cosa è successo oggi? Sì, a voler essere pignoli è uno spettacolo di fine anno di una scuola primaria, con tutti gli annessi e connessi, durato il canonico paio d’ore, che finirà negli annali come decine di altri spettacoli. Eppure, è molto di più. Perché ognuno di noi è uscito arricchito e diverso da questo lavoro. Sì, hanno cantato e suonato tutti benissimo, rischiando pure di strappare una lacrima ad una maestra dal cuore tenero. Ma non è solo questo. A me – e immagino e spero anche a tutti gli altri – resta la sensazione di aver vissuto una magia, di aver creato da quasi niente qualcosa di bello, di coinvolgente, di vero, di aver seminato qualcosa che forse potrà crescere in futuro e sorprenderci di nuovo. E mi resta la certezza di essere irrimediabilmente, orgogliosamente, felicemente diversa da prima.

Ora è il tempo di mettere in ordine, raccogliere ogni piccola cosa, metterla in stiva con cura e alzare le vele, tirare fiato e tra un po’ scoprire altre terre e altri approdi.

Ma in questa isola del Fuoco, prima o poi, spero proprio di poter tornare.

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